Un giorno nella vita di un direttore di impianto nucleare

Roberto Covini lo racconta al Museo.

Dopo le bellissime e interessanti descrizioni delle professioni di Esperto di Radioprotezione e di Fisico Medico apparse in questo sito, mi appresto a spiegare al colto pubblico che ci segue quella di Direttore Responsabile di un impianto nucleare. Sono certo che l’attenzione del lettore sarà immediatamente catturata da due termini ad effetto: il sostantivo Direttore, che nell’immaginario collettivo ti pone subito ai vertici della piramide di Maslow e l’aggettivo nucleare, un termine double face che può affascinare alcuni e rendere sospettosi altri. La professione di direttore di impianto nucleare, un’araba fenice nel panorama occupazionale italiano, genera un’immediata manifestazione di sincera ammirazione, che spesso percepisco dall’inespressa colorita espressione romanesca, quella che tira in ballo certe parti anatomiche maschili, stampata sul viso dell’interlocutore di turno.

Come si diventa Direttore di un impianto nucleare, nel mio caso di ricerca? La risposta sta nella legge. Devi soddisfare una serie di requisiti, ossia essere di sana e robusta costituzione, sano di mente, avere un titolo di studio universitario, il mio di ingegnere nucleare mi ha aiutato non poco, e dimostrare di possedere capacità tecniche e manageriali per poter gestire in sicurezza non uno qualsiasi ma il tuo impianto nucleare, quello che conosci a menadito e che non ha segreti per te. Il risultato è l’attestato alla direzione di impianto attribuito dall’Autorità nucleare italiana con tanto di augurio: e adesso sono cavoli tuoi! Ricevuti gli agognati ortaggi, di colpo ti ritrovi catapultato al vertice di una struttura organizzativa il cui scopo principale, che in inglese descriverei in modo appropriato con l’aggettivo challenging, è quello di garantire l’esercizio sicuro del giocattolo che ti è stato affidato. Le sorti del personale di impianto, della popolazione e dell’ambiente circostanti sono nelle tue mani e dipendono dalle tue decisioni. Beh, qualche brivido sulla schiena lo senti correre.

Fatta questa premessa, cosa fa un Direttore nucleare quando varca la soglia del proprio impianto? Ovviamente porto qui la mia esperienza che, tuttavia, non credo sia difforme da quella di molti altri.

Il percorso inizia in Sala Controllo, cuore dell’installazione, dove vengono prese ed attuate tutte le decisioni coerenti con la sicurezza. Ricordate i film Sindrome Cinese oppure Chernobyl? è proprio così, anche se fortunatamente nel mio caso nessuna di quelle spiacevoli circostanze si è mai verificata, anche per le caratteristiche impiantistiche e la bravura del personale di impianto.

Mentre il supervisore effettua il briefing, ragguagliando su quello che va bene e su quello che va meno bene (il cahier de doléances è un avversario sempre presente), una rapida sbirciata qua e là ai monitori si impone per capire se tutto stia filando liscio. Ma come si fa a capire se sistemi così complessi e interconnessi funzionano a dovere? La risposta è semplice quanto ovvia: se tutte le segnalazioni provenienti dai cosiddetti sistemi rilevanti ai fini della sicurezza rientrano negli intervalli prefissati, si può affermare con oggettiva evidenza che va tutto bene, madama la marchesa! Per un Direttore è estremamente tranquillizzante sapere che pompe, ventilatori, monitori di radioattività, alimentatori elettrici di emergenza stiano tutti insieme svolgendo egregiamente la loro funzione.

Questo risultato non è per nulla casuale, ma è la conseguenza di attività di manutenzione nonché di test di verifica periodica di funzionalità, precisione e rispondenza della strumentazione ai prescritti requisiti di sicurezza. Si ha così la ragionevole certezza che quei sistemi sono idonei allo scopo. Laddove i sistemi esistenti dovessero dimostrare obsolescenza, ecco che buona parte delle fatiche di un Direttore nucleare viene spesa nella valutazione e approvazione di progetti di miglioria o addirittura di modifica e sostituzione dei sistemi esistenti con nuove e più performanti tecnologie. Il tutto con il beneplacito dell’Autorità di sicurezza nucleare, il cui occhio vigile ti accompagna durante tutte le fasi sino all’installazione e messa in opera.

L’esercizio sicuro di un impianto nucleare non può prescindere da una perfetta conoscenza di ciò che immetti nell’ambiente, sia in termini di qualità che di quantità. Pertanto, una delle azioni più delicate per un Direttore è l’approvazione allo scarico delle sostanze radioattive aeriformi, liquide e solide. La loro immissione in ambiente è effettuata a valle di rigorose analisi di radioattività, i cui risultati sono messi a confronto con i valori autorizzati dall’Autorità di sicurezza nucleare. Solo in questo modo hai la consapevolezza che l’impatto ambientale sarà minimo e compatibile con le provate capacità di smaltimento dell’ambiente circostante.

Anche l’emergenza ricade sotto la responsabilità del Direttore nucleare e viene da lui gestita in prima persona. Attenzione! Emergenza non significa necessariamente incidente nucleare, significa piuttosto accadimenti che non rientrano nel normale funzionamento e che potrebbero avere come conseguenza un incidente nucleare. Essa viene dichiarata sia a seguito di segnalazioni di malfunzionamento della strumentazione oppure di situazioni incidentali reali, che potrebbero rilasciare sostanze radioattive all’esterno dell’impianto. In entrambi i casi viene richiesta al Direttore una tempestiva comprensione delle cause (in pochi secondi ti passa per la mente tutto lo scibile in tuo possesso sull’impianto) seguita da azioni di rimedio, che fanno affidamento anche sulle sicurezze attive e passive di cui ogni impianto nucleare è dotato.

In questo frangente il Direttore, coadiuvato da figure professionali di provata esperienza, tra cui l’Esperto di Radioprotezione, attua un piano di emergenza il cui scopo consiste nel rendere minime per quanto possibile le conseguenze radiologiche ai lavoratori, alla popolazione ed all’ambiente circostante. Spesso accosto la figura del Direttore nucleare a quella di un pilota di aereo, che in caso di emergenza ha pochi secondi per capire quanto sta succedendo in modo da intervenire efficacemente prima che si verifichi qualche guaio più grosso.

Il Direttore nucleare rappresenta l’impianto nei confronti dell’Autorità di sicurezza nucleare. Gli ispettori passano al setaccio e giudicano il tuo operato, passibile anche di azioni penali. è pertanto necessario dimostrare che l’esercizio viene fatto secondo il corpo prescrittivo e con metodo professionale, nell’interesse di tutti. Fondamentale in tal senso è istituire delle ottime relazioni anche a livello personale, pur nel rispetto dei ruoli.

Tra le attività che devono far parte del bagaglio di un Direttore nucleare non può non esserci la partecipazione a corsi di formazione, riunioni, conferenze e congressi insieme a esperti di settore nazionali ed internazionali, per confrontare la propria esperienza professionale con quella degli altri e farne tesoro quando torni al lavoro quotidiano. La lesson learned nel nucleare come in molte altre discipline tecniche è fondamentale per garantire la sicurezza presente e futura.

Un’ultima considerazione sulla base della mia esperienza umana come Direttore di impianto nucleare. Da subito ho appreso che il cuore della gestione di un impianto, oltre agli scontati aspetti tecnici, è la gestione delle persone. A mio modesto parere, i manager che sono in grado di conciliare la leadership tecnica con buone relazioni umane costruite sulla fiducia e sul rispetto reciproco sono quelli che hanno più successo in questa carriera. Credo che la condivisione non solo della conoscenza dell’impianto, dei successi e degli insuccessi nella gestione operativa, ma anche le bevute di caffè, gli stimoli intellettuali e l’interazione sociale, possano contribuire a rendere un gruppo di persone oltre che preparate e competenti, una vera e propria squadra affiatata e motivata, pronta ad affrontare con efficacia tutte le situazioni che si possono presentare. Ebbene, nello svolgimento del mio ruolo, ho sempre cercato di valorizzare entrambi questi aspetti, così intimamente legati tra loro. Ovviamente, lascio ai miei collaboratori l’onere del giudizio sul mio operato.