Enrico Fermi

Premio Nobel per la fisica (1938) per "l'identificazione di nuovi elementi della radioattività e la scoperta delle reazioni nucleari mediante neutroni lenti"

Sin da bambino Enrico Fermi mostrò grande interesse e propensione per la matematica e la fisica. 
Era nato a Roma, figlio di un funzionario delle Ferrovie dello Stato e di una maestra.
Sviluppò subito una dote che manterrà sempre: l'autonomia nell'apprendimento. Per avere un’idea della sua precocità, pensate che a 10 anni era già in grado di capire l'equazione del cerchio. Ma per la sua presunta aridità mentale, soprattutto nelle composizioni di italiano, a scuola viene spesso criticato e probabilmente i suoi insegnanti non sapevano che a tredici o quattordici anni, Enrico studiava matematica per conto suo,  aiutandosi solo con libri usati, comprati o semplicemente sfogliati al mercatino di Campo de Fiori, a Roma, perché a Enrico bastava leggere un libro di matematica una volta, per poi ricordarlo, oppure, era in grado di selezionare da solo giusto il necessario che gli serviva per procedere autonomamente.
Al momento dell'iscrizione all'università, convince i genitori a farlo andare a Pisa, perché si rendeva conto che a Roma non avrebbe potuto dedicarsi serenamente allo studio per via dell'atmosfera di lutto che si era creata a casa sua dopo la tragica morte del fratello Giulio, che morì nel corso di un'operazione chirurgica. Anni più tardi sua sorella Maria, la primogenita, morì nel disastro aereo di Olgiate Olona.
Fu Orso Mario Corbino, a dargli l'opportunità di creare un gruppo di ricerca presso lo studio di via Panisperna a Roma.  
L’assegnazione del Nobel “per la sua dimostrazione dell’esistenza di nuovi elementi radioattivi prodotti dall’irradiazione con i neutroni e per la scoperta correlata delle reazioni nucleari causate dai neutroni lenti” è avvenuta in un tempo brevissimo: appena quattro anni dopo la scoperta. E Fermi era uno scienziato giovanissimo, aveva solo 37 anni. 
Quando furono promulgate le leggi razziali, e per sottrarre la moglie Laura Capon, ebrea, a una inquietante prospettiva, partì con la famiglia per ritirare il Nobel a Stoccolma nel 1938 e proseguì per gli Stati Uniti, sbarcando a New York.
Fermi aveva un carattere riservato ed era un abitudinario nella vita. Si alzava alle 5.30, lavorava due ore e dopo colazione, alle 8, usciva per andare all’università, da cui tornava alle 13. Dopo pranzo leggeva o giocava a tennis, ma alle 15 rientrava all’università rincasando alle 20. E non oltre le 22 si coricava. 
La dedizione totale alla fisica aveva portato Fermi a qualche distacco dalla famiglia nonostante lo stretto rapporto con la moglie Laura. 
Sapeva gestire mirabilmente le proprie risorse e a tutti, partendo dalla figlia Nella, ricordava di «non fare mai nulla con precisione maggiore dello stretto necessario». 
Con la figlia Nella c’era forse una maggiore sintonia, mentre che con il figlio Giulio le cose erano più complesse; già, perché Giulio era schiacciato dalla personalità del padre, tanto da cambiarsi il nome e non fare mai riferimento all’illustre genitore. 
Il 28 novembre 1954 Fermi morì di tumore dello stomaco a Chicago e venne sepolto nel Oak Woods Cemetery. Aveva 53 anni.
Rimane il suo metodo nella risoluzione dei problemi, noto come “i problemi di Fermi”, che ancora oggi sono usati dalle grandi agenzie Mc Kinsey e Goldman per selezionare i candidati e osservare come ragionano.
Il “Premio Enrico Fermi” stabilito in onore alla sua memoria, è consegnato annualmente a chi contribuisce allo sviluppo, uso o controllo della energia atomica. 
Il  più importante centro di fisica americano a Chicago è stato battezzato Fermilab e anche un satellite porta il suo nome. 
In suo onore si ha nominato l’elemento atomico nº 100, con il nome Fermio (Fm).

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