L’irraggiamento industriale di prodotti di consumo e di alimenti viene praticato da molto tempo sia per scopi di sterilizzazione o riduzione della carica batterica che per trattamenti “migliorativi” del prodotto stesso (cross linking).

Il processo d'irraggiamento espone il materiale e la loro confezione o imballo ad un valore controllato di radiazioni ionizzanti per uno specifico tempo, per ottenere gli obiettivi desiderati come: la riduzione della carica batterica, il viraggio del colore, la sterilizzazione, il cross linking, ecc. Queste specifiche manipolazioni non rendono “radioattivo” il materiale trattato.

Gli impianti di irraggiamento devono essere realizzati seguendo standard internazionali (IAEA, ICRP, ecc.) e sono confinati all’interno di bunker che proteggono completamente dalle radiazioni ionizzanti ciò che si trova all'esterno. Questi possono essere di due tipologie: con materiale radioattivo (solitamente Cobalto-60) o a raggi X (acceleratori di elettroni).

I valori di dose che vengono normalmente impiegati nei trattamenti di sterilizzazione con materiale radioattivo, sono in un ordine intermedio che può variare da alcune centinaia di Gray a diverse decine di migliaia di Gray.

L’irraggiamento è stato pensato e realizzato proprio con lo scopo di proteggere la popolazione, a partire dalla sterilizzazione dei dispositivi medici che sono stati da sempre il principale veicolo di infezioni, soprattutto durante gli interventi chirurgici “di guerra”. Mentre le radiografie con i raggi X hanno contribuito a ridurre sensibilmente le infezioni batteriche (grazie a questa innovativa tecnica si poteva intervenire sapendo con esattezza millimetrica cosa e dove andare a cercare, ad es. una scheggia di granata), la sterilità non veniva comunque garantita visto che non si andava mai oltre la bollitura degli strumenti chirurgici.

Ci sono voluti decenni per poter arrivare alle radiazioni ionizzanti, passando prima dall’ossido di etilene (tossico per inalazione ma usato per sterilizzare i prodotti termolabili che verrebbero danneggiati dalla bollitura) e successivamente dalle microonde (che però non possono trattare oggetti di grandi dimensioni). Se la sterilizzazione dei presidi medici con radiazioni ionizzanti è sempre stata ampiamento accettata e la sua efficacia internazionalmente dimostrata, altrettanto non si può dire per gli altri oggetti di uso comune e ancora di più per gli alimenti.

La comune credenza, abbondantemente diffusa dai media scandalistici e non, che con titoloni fuorvianti hanno alimentato la radiofobia, è che l’irraggiamento rende radioattivo il materiale, che l’irraggiamento modifica l’alimento, che le radiazioni rimangono nell’oggetto e poi escono colpendoci!! Nel caso degli alimenti, la loro “presunta” modificazione è reale: esattamente come avviene con la cottura prima del consumo o con il preventivo trattamento con agenti conservanti. 

E siccome le radiazioni, dal dopoguerra a oggi, sono sempre state associate alla bomba atomica, alla radioterapia, agli agenti segreti, a Chernobyl e a tutto ciò che di negativo si può pensare, la politica di informazione (spesso minima e maldestra) non ha mai registrato una vittoria. Eppure, grazie all’irraggiamento degli alimenti, gli USA hanno impedito 5.000.000 di casi annui di salmonellosi e grazie all’irraggiamento degli stuzzicadenti vengono evitati moltissime parodontiti o comunque infezioni della bocca. Ma mentre 50 anni fa sulle confezioni di stuzzicadenti veniva riportata proprio questa tecnica di sterilizzazione “con raggi gamma“, oggi ancora lo si fa ma non lo si scrive. E così via.

Ma non è così ovunque: sempre in USA, l’informazione che è stata data ai consumatori è stata imponente. In alcuni supermercati è possibile trovare oltre al reparto dei prodotti “bio” anche il reparto dei prodotti “irradiated”. Un piccolo marchio (radura) informa che il prodotto è stato sottoposto a radiazioni ionizzanti.

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